Nel 1997 il capitano Charles Moore, in rotta verso Los Angeles si imbatte nel Pacifico Centrale in una delle isole di spazzatura: un’enorme distesa di rifiuti plastici, in gran parte sbriciolati per l’azione dei processi chimici e dei raggi UV. Ha inavvertitamente scoperto quella che verrà chiamata la Great Pacific Garbage Patch, un’enorme isola d’immondizia di origine plastica.
L’isola, chiamata anche Pacific Trash Vortex, si è formata a partire dagli anni ’50 per opera di una corrente oceanica chiamata Vortice Subtropicale del Nord Pacifico. Le sue dimensioni sono stimate da 7 a 10 milioni di chilometri quadrati, poco più della superficie totale degli USA. Nonostante i numeri da capogiro, l’isola non è la sola presente sul Nostro Pianeta. Quante altre Isole di spazzatura esistono e dove si trovano? Scopriamolo insieme!
Le “Isole di spazzatura”
Oltre alla Great Pacific Garbage Patch, esistono almeno altre cinque isole di rifiuti distribuite nei mari del Globo:
- South Pacific Garbage Patch: Scoperta dal capitano Charles Moore al largo del Cile e del Perù, si estende per circa 2.6 milioni di chilometri quadrati ed è costituita principalmente da micro plastiche.
- North Atlantic Garbage Patch: È la seconda isola più grande, con un’estensione di circa 4 milioni di chilometri quadrati. Si è formata per opera della Corrente Oceanica Nord Atlantica ed è caratterizzata da un’elevata densità di rifiuti: 200 mila detriti per chilometro quadrato.
- South Atlantic Garbage Patch: Formatasi per opera della Corrente Oceanica Sud Atlantica, è probabilmente la più piccola, estendendosi per circa 1milione di chilometri quadrati. Si trova tra l’America del Sud e l’Africa meridionale.
- Indian Ocean Garbage Patch: Scoperta ufficialmente nel 2010, mostra un’estensione di circa due milioni di chilometri quadrati ed una densità di 10 000 detriti per chilometro quadrato. La particolarità di quest’isola è di essere formata in gran parte da rifiuti provenienti dai fiumi del continente asiatico.
- Artic Garbage Patch: Nonostante il Mar Glaciale Artico risulti tra i mari più puliti da materiali plastici, nel mare di Barents è stata scoperta una piccola isola di plastica, costituita da plastiche provenienti dall’Europa e dalla costa orientale del Nord America e trascinate dalle correnti oceaniche al Nord della Norvegia, dove si sono compattate. Purtroppo anche i siti all’interno di grandi riserve marine, come l’Henderson Island, piccolo atollo disabitato, è diventato una discarica soprattutto di materiale plastico, catturato dal Vortice Subtropicale del Sud Pacifico.
Anche il nostro Mediterraneo è fortemente inquinato da materiali plastici. Si calcola, ad esempio, che solo nel bacino Nord Ovest del Golfo di Genova ci siano circa 200 000 micro frammenti di rifiuti per chilometro quadrato. Nei pressi dell’isola d’Elba i micro frammenti raggiungono la quota 892 000 di circa per chilometro quadrato.
Sorge spontaneo chiedersi quali materiali contribuiscano maggiormente alla formazione di queste isole. Analizziamo brevemente la storia dei materiali plastici.
Perché le plastiche formano isole di spazzatura?
Il primo materiale plastico fu la celluloide, nata per mano del tipografo John Hyatt e brevettata nel 1869. Era costituita da sostanze naturali: canfora, azoto e cellulosa. Nel 1909 il chimico belga-americano Leo Baekeland creò la prima plastica sintetica, composta da fenolo e formaldeide, ottenendo così un materiale termoindurente. Fu negli anni ’20 che si iniziò a creare materiale plastico usando il petrolio.
Negli anni ’30 si arrivò alla produzione del plexiglass, la cui prima applicazione fu nel settore bellico durante la Seconda Guerra Mondiale, dove venne usato per la costruzione dei finestrini degli aerei, i periscopi sottomarini, le coperture e i parabrezza delle torrette. Sempre negli anni ’30 il PVC (polivinilcloruro), nato con la tecnica della polimerizzazione alla luce solare del cloruro di vinile, divenne una valida alternativa alla gomma naturale, più costosa. Il poliuretano, il polietilene, il nylon ed il moplen, plastica ancora usata per vasche e vaschette, divennero presto materiali usati non solo dall’industria bellica.
Oggi tra le principali plastiche di impiego nei più disparati settori annoveriamo il polietilene, il propilene, il polipropilene, il polivinilcloruro, il polistirene, le poliammidi ed il polietilentereftalato.
Il PVC, impiegato inizialmente per il confezionamento delle acque minerali, ha presentato dei limiti, poiché non sufficientemente impermeabile ai gas, e quindi non adatto per le acque gassate. Il pet ha preso il suo posto nell’industria dell’imbottigliamento, perché più sicuro, leggero ed economico. In teoria il pet sarebbe riciclabile al 100%, quindi, se smaltito correttamente, potrebbe trasformarsi da rifiuto a risorsa. Una buona notizia, essendo la crescita dei consumi di acqua in bottiglie di plastica aumentata esponenzialmente negli ultimi decenni. L’esistenza delle isole di spazzatura, formate da plastiche non biodegradabili e di dimensioni anche importanti, ha suggerito modelli matematici per la mappatura della plastica.
Modelli matematici per mappature della plastica
Negli ultimi anni sono stati effettuati importanti studi dalla University of New South Wales di Sydney riguardo alla formazione di queste isole di spazzatura. Gary Froyland e l’oceanografo Erik Van Sebille, a capo di un team di scienziati, hanno elaborato dei modelli matematici che permettono di capire da dove provengano tutti questi rifiuti.
In pratica queste isole si comportano come gli occhi di un ciclone, trovandosi al centro di gigantesche correnti circolari oceaniche chiamate giri, che intrappolano i rifiuti. L’aspetto più incredibile è che i rifiuti non rispettano i confini geografici degli oceani finora considerati, ma si muovono seguendo nuove rotte determinate dalla condizione di quiete relativa delle acque.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Chaos: an interdisciplinary Journal of non linear, le correnti oceaniche si formerebbero per l’azione della rotazione della Terra, dei venti, per l’effetto della differenza di temperatura e della salinità delle acque. Secondo la teoria ergodica, che si occupa del comportamento a medio e a lungo termine dei sistemi dinamici interconnessi, l’oceano terrestre è stato suddiviso in sette mari, le cui acque si mescolano, in realtà, molto poco.
Questa visione ha rivoluzionato la classificazione geografica definendo nuove rotte oceaniche: si potrebbero così, con maggior facilità, identificare ed eventualmente sanzionare i Paesi da cui le materie plastiche sono partite. Uno dei problemi di maggior impatto ambientale è determinato dalla possibile variazione o, addirittura dalla scomparsa, dei flussi di corrente oceanica, da noi conosciute come El Niño, la Corrente di Humboldt e la Corrente del Golfo. Rallentando il moto di queste correnti si potranno avere alterazioni significative di salinità delle acque, trasporto di Krill e scambio tra vaste distese oceaniche.
Danni delle isole di spazzatura all’ecosistema marino
Sono almeno le specie marine danneggiate dai rifiuti plastici, per il 90% dalle plastiche e per il 10% a causa dell’ingestione di microplastiche. Secondo dei prospetti realizzati dalla fondazione McKinsey, nel 2050 negli oceani avremo più plastica che pesci!
Purtroppo la plastica più insidiosa per la fauna marina è rappresentata dalle microplastiche e nano-plastiche derivate da processi di degradazione per azione del vento, del moto ondoso e della luce ultravioletta. Sono state trovate perfino nel krill, che è alla base del sostentamento di molte specie marine, fino ad interessare i grandi predatori degli oceani.
Si calcola che ogni anno l’essere umano mangi una quantità di plastica equivalente ad alcune carte di credito. Tartarughe, squali e cetacei ingurgitano sacchetti di plastica scambiandoli per meduse e pesci. Specie mesopelagiche, come i pesci lanterna che si nutrono di plancton, costituiscono l’anello di congiunzione tra il plancton e i vertebrati, raggiungendo i grandi predatori come tonni e pesci spada ed arrivando così nella nostra dieta.
Anche l’esistenza degli uccelli marini, come ad esempio gli albatros, berte e pinguini, è minacciata dalla plastica che assume lo stesso odore del cibo di cui si nutrono. Il krill, infatti, si nutre di alghe, che una volta decomposte, odorano di zolfo a causa del solfuro di dimetile (DMS). L’olfatto dei volatili viene ingannato da una “trappola olfattiva” che li porta a scambiare la plastica per krill.
Ocean Array Cleanup
L’ONU considera l’inquinamento da plastica del mare più grave rispetto a quello chimico-biologico. Per questo motivo, da decenni si cercano soluzioni valide per ripulire gli oceani dal materiale plastico.
Nei primi anni 2000 Boyan Slat aveva 16 anni e, durante un’immersione subacquea in Grecia, trovò nei fondali più plastica che pesci. Da allora decise di dedicarsi alla realizzazione di un sistema in grado di ripulire il mare dalle plastiche. Ha creato un sistema passivo che non danneggia gli animali e l’ambiente, utilizzando le correnti oceaniche. Nel 2013, a 18 anni, ha creato una fondazione, l’Ocean Cleanup.
Il macchinario da lui ideato è stato denominato Ocean Array Cleanup ed utilizza per funzionare le stesse correnti marine che hanno permesso la formazione delle isole di spazzatura. Raggruppa i rifiuti plastici entro barriere galleggianti (lunghe chilometri) sistemate a favore di corrente e funzionanti come imbuto, il quale riversa i rifiuti in piattaforme. Per consentire un drenaggio più profondo, i bracci dell’Ocean Array Cleanup sono fissati ad ancore che galleggiano in profondità.
Questo macchinario non necessita di energia per funzionare, in quanto sfrutta esclusivamente le correnti marine e, cosa non da poco, consente alla fauna marina di muoversi al di sotto delle reti. L’installazione di parecchie piattaforme in varie aree del Pianeta consentirebbe un’azione su larga scala. Purtroppo, la barriera galleggiante si è rotta a causa delle difficili condizioni oceaniche. Questo sistema, ribattezzato Wilson, deve essere perfezionato ulteriormente.
Seabin Project
Andrew Turton e Pete Ceglinski sono due giovani australiani che, dopo essersi accorti di quanto la spazzatura impattasse sugli sport d’acqua (vela, surf, etc.), hanno ideato insieme alla SMS (Shark Mitigation Systems PTY), una società australiana specializzata in tecnologie marittime, un macchinario che funziona come un’aspirapolvere marina. Esso aspira e filtra le acque superficiali, riversandole in una sacca di fibra naturale. Successivamente queste passano in un separatore acqua/olio, dove resta intrappolata non solo la spazzatura, ma anche il petrolio e il catrame.
Questo macchinario è stato testato nel Mediterraneo che essendo un mare chiuso risente più degli altri dell’inquinamento da spazzatura e da sversamenti di idrocarburi accidentali o illeciti. Se si installassero i Seabin nei porti principali, si potrebbe rimuovere la spazzatura galleggiante prima che, trasportata dalla corrente, possa raggiungere il mare aperto ed andare ad aumentare la superficie delle isole di spazzatura.
Batteri mangia plastica
Sono stati condotti studi per testare se la microbiologia possa diventare uno strumento utilizzabile per lo smaltimento della plastica.
Un team di ricerca dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona diretto dal Professor Ricard Sole ha scoperto, attraverso modelli matematici, dei batteri in grado di degradare la plastica. Alcuni di questi microrganismi sono in grado di spezzare i legami molecolari del polietilene tereftalato (PET), una resina termoplastica utilizzata per conservare alimenti. Ciò è possibile grazie a due enzimi che la convertono in due monomeri, necessari per la crescita del batterio, riuscendo in poche settimane a degradare la plastica che in condizioni naturali impiegherebbe 450 anni circa.
All’università di Creta un team guidato da Evdokia Syranidou ha scoperto che microrganismi marini utilizzano, come substrato e come fonte di carbonio, le microplastiche e le nano-plastiche. I ricercatori hanno raccolto, a tal scopo, detriti di polietilene e polistirolo e li hanno immersi in acqua ricca di diversi tipi di comunità microbiotiche. Dopo cinque mesi il peso del polistirolo e del polietilene si era ridotto fino all’ 11%!
Conclusioni
Ad oggi diversi sono gli approcci ed i tentativi utilizzati per affrontare e risolvere un problema che di anno in anno diventa sempre più complesso. Una recente spedizione è partita il 3 Luglio 2020, quando la Kwai è salpata dal porto di Hilo, nelle Hawaii, ed è approdata ad Honolulu. La nave è dotata di radiofari galleggianti rilasciati ad intervalli programmati nelle acque che, con un GPS, riescono a visionare e programmare il recupero di materiale plastico. Sono state raccolte solo un centinaio di tonnellate di rifiuti, indirizzati nei centri di riciclo.
Questo progetto non è altro che una piccola goccia nella vastità del mare, ma dimostra una presa di coscienza collettiva dell’entità del problema. Infatti, anche se la maggior parte delle isole di plastica sono quasi invisibili ad occhio nudo e non rilevabili dalle immagini satellitari, esistono agglomerati più densi, soprattutto nel Pacifico meridionale, somiglianti ad enormi iceberg, pericolosi per la navigazione e lontani dalle rotte commerciali, solitamente utilizzate dalle navi. La catastrofe peggiore sarebbe lo spostamento ed ingrandimento di questi iceberg… adoperiamoci per arrivare mai al punto di scoprirne le conseguenze.
Abbiamo stimolato la tua curiosità? Puoi saperne di più consultando le nostre fonti:
- ecologiae.com – Electrolux
- corriere.it – Le 6 isole di plastica più grandi al mondo
- lastampa.it – La nazione indipendente delle isole di spazzatura
- ilgiornaledelcibo.it – Allarme microplastiche: sono presenti nel cibo che mangiamo?
- lifegate.it – È pronta a salpare la prima rivoluzionaria macchina per pulire gli oceani dalla plastica
- ideegreen.it – Isola di rifiuti, dati allarmanti
- beppegrillo.it – Henderson Island: l’isola paradisiaca ricoperta di plastica
- lifegate.it – Perché plastica e microplastiche sono la minaccia dei nostri oceani
- liberidallaplastica.it – Isola di plastica nel Pacifico, un fenomeno da arginare
- magazine.eon-energia.com – Come eliminare la più grande isola di plastica al mondo
- greenme.it – Inquinamento oceani: 4 soluzioni alle isole di plastica
- rinnovabili.it – Isole di spazzatura: un modello matematico ne studia gli spostamenti
- lifegate.it – Quanta plastica c’è in mare
- tech.everyeye.it – LA GREAT PACIFIC GARBAGE PATCH, L’ISOLA DI SPAZZATURA GRANDE COME GLI USA
- wired.it – La matematica riscrive i confini degli oceani (per incastrare chi inquina)
- hellogreen.it – L’isola di spazzatura del Pacifico (Pacific Trash Vortex)
- rinnovabili.it – Soluzioni all’inquinamento plastica: Ocean Cleanup non si arrende
- open.online – Smantellata parte dell’isola di plastica più grande del mondo, 103 tonnellate di rifiuti raccolti nel Pacifico
- hellogreen.it – Seabin: una soluzione contro la spazzatura e l’inquinamento marino
- scienze.fanpage.it – I batteri marini stanno iniziando a nutrirsi di plastica e, forse, ci stanno salvando
- open.online – Gli scienziati hanno scoperto un batterio che si nutre della plastica più inquinante
- pianetablunews.it – Le bugie sull’isola di plastica nel pacifico
- greenme.it – Great Pacific Garbage Patch: rimosse più di 100 tonnellate di rifiuti dall’isola di plastica più grande del mondo
- theoceancleanup.com – Great Garbage Patch
- ocean4future.org – Importante: come riconoscere i diversi tipi di plastiche
- wikiwand.com – Corrente oceanica
- meer.com – La plastica negli ecosistemi acquatici
- boatsetter.com – Seabin Project for Cleaner Oceans
- oceansplasticleanup.com – SEABIN MARINA LITTER SCOOP
- treccani.it – Trovato il batterio ‘mangiaplastica’
- lifegate.it – Ocean Cleanup: riparte la missione contro la plastica
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