Delle batterie al litio ne abbiamo già discusso nel precedente articolo “Ansia da minerali! Alternative al litio per la green revolution”, per cui si era parlato della sua origine e quali siano i metodi principali per estrarlo. Ovviamente abbiamo anche discusso dei lati negativi di tutto ciò.
Per poter quindi avere una valida alternativa al litio, si devono prendere in considerazione alcuni parametri:
- Processo di estrazione più sostenibile economicamente, ambientalmente e socialmente;
- Reperibilità delle risorse per la produzione delle batterie;
- Facilità di produzione.
Ed è qui che parte la nostra carrellata di possibili soluzioni alla dipendenza da litio, ma non solo: si pensa anche a possibili batterie ad accumulo termico per il consumo di massa per le abitazioni e le utenze delle città. Ma bando alle ciance e vediamo di analizzare i diversi progetti in atto per la transizione green.
Batterie agli ioni di sodio
Questi dispositivi sono batterie ad accumulo elettrico (per intenderci le classiche batterie che conosciamo tutti) che anziché usare il litio sfrutta gli ioni di sodio, inoltre ricorrono all’alluminio al posto del rame, abbattendo ancor di più i costi di produzione e di eventuale recupero.
Dal punto di vista chimico (e quindi anche di progettazione) le batterie al sodio hanno qualche problema: lo ione del sodio è tre volte maggiore di quello del litio e la batteria ha un ciclo di vita inferiore di quelle al litio. Inoltre il sodio non permette grandi voltaggi, portando ad avere batterie con una capacità anche del 40% inferiore alla tecnologia al litio.
I vantaggi però sono molti: bassi costi di produzione e reperibilità del materiale (basta dissalare l’acqua di mare per ottenere sodio a volontà!), sono sicure in quanto non infiammabili o soggette a cortocircuiti. Inoltre hanno un range di temperatura operativa che va da -20°C fino a +60°C.
Batterie al sale (sodium/nickel chloride cells) e sodio-zolfo
Una variante delle batterie al sodio sono le batterie al sale. Letteralmente: si usa il sale da cucina per fare energia. Ma qui si parla di una batteria termica, ovvero che accumula calore, e non elettricità.
Queste batterie sono formate da un catodo (+) al cloruro di nickel ed un anodo (-) al sodio liquido, il tutto separato da un involucro fatto di ceramica beta-allumina. Quest’ultimo ingrediente è una variante dell’ossido di alluminio (quello che forma i rubini e zaffiri, che però in questo caso si chiama alfa-allumina) e che permette un facile passaggio di ioni all’interno della struttura cristallina.
Rispetto alle batterie agli ioni di sodio, queste batterie hanno un ciclo vitale davvero lungo ed accumuli di energia maggiori rispetto al litio. Ah, ed inoltre non risentono dell’effetto memoria,
ovvero il calo di prestazione della batteria con il tempo. Una variante di queste batterie sono quelle al sodio-zolfo, in cui il catodo è formato da zolfo liquido. Il problema, fino ad oggi, erano le elevate temperature di esercizio (tra i 300 ed i 350°C!) per entrambi i tipi di batterie, ma ad oggi alcuni ricercatori hanno forse risolto il problema, portando un prototipo della batteria al sodio-zolfo che funziona anche a temperatura ambiente.
Batterie allo stato solido
Questo tipo di batterie in realtà non sono una vera alternativa al litio, in quanto anche loro lavorano con gli ioni di litio, ma la vera differenza sta nel loro elettrolita, ovvero quello che consente il passaggio di cariche elettriche tra il polo positivo e quello negativo. Come si può vedere nell’immagine seguente, le batterie agli Li-Ion hanno un elettrolita liquido, mentre quelle allo stato solido… un solido, ovviamente!
Non cambia molto di per sé, ma la vera rivoluzione sta nell’efficienza di queste ultime: essendo l’elettrolita un composto fatto di ceramica o polimeri speciali, hanno una densità energetica (ovvero il rapporto tra energia immagazzinata per unità di peso o volume) pari a 2,5 volte maggiore rispetto agli ioni di litio. Inoltre sono più resistenti alle fiamme e hanno una vita utile molto più duratura. E dulcis in fundo, si ricaricano molto più in fretta e sono più leggere. Gli svantaggi? Oltre a dovere usare il litio (e stiamo cercando di non sfruttarlo troppo, ricordate!) sono i costi di produzione proprio dovuti alle caratteristiche delle ceramiche o dei polimeri dell’elettrolita. Quindi questo tipo di batterie, per ora, possiamo scartarle!
Batterie al grafene
Questa tecnologia di accumulo di energia è già conosciuta da tempo: già nel 2004 i due fisici Andre Geim e Konstantin Novoselov dell’Università di Manchester (poi entrambi premio Nobel per la Fisica nel 2010) hanno messo a punto questo materiale innovativo.
Ma in cosa consiste?
Il grafene non è nient’altro che la nostra matita di grafite… sfilettata! Si tratta di prendere la grafite, che è fata da tantissimi strati di carbonio orientati a nido d’ape e creare un singolo strato mono-atomico. Uno dei metodi migliori è l’esfoliazione meccanica della grafite con un nastro adesivo, ma infattibile su larga scala! Un altro sistema tra i più economici e che permette di ottenere i migliori risultati per produrre tale materiale è quello della deposizione chimica da fase vapore (CVD). Durante il processo CVD, il carbonio del metano viene depositato su una lamina di substrato (di solito rame, ma si può anche usare nickel, palladio, rutenio o iridio). Una volta qui, il carbonio inizia a crescere fino a quando si ottiene la pellicola di grafene da staccare.
Ma veniamo alle batterie: una nuova tecnologia permette di sfruttare il grafene, abbinato all’alluminio, per creare dei prodotti dalla capacità mostruosa, e soprattutto con meno materiale e quindi più leggere. Il campo del grafene è tuttavia talmente vasto ed in continua evoluzione che si stanno continuamente elaborando nuovi progetti per la mobilità sostenibile, quindi stiamo in campana per sviluppi futuri!
Batterie all’anidride carbonica
Ora veniamo ad una tecnologia tutta italiana: la startup Energy Dome, con sede a Milano, ha progettato e messo in produzione il primo impianto al mondo basato su batterie… all’acqua frizzante!
Nello specifico si tratta di un sistema di accumulo di energia termica a lungo termine che in fase di carica assorbe energia dalla rete elettrica (da un campo solare o dall’eolico) per comprimere la CO2 contenuta nella “cupola” (Dome), a temperatura e pressione ambiente, al fine di stoccarla allo stato liquido, immagazzinando allo stesso tempo il calore generato dalla compressione.
In fase di scarica, la CO2 torna allo stato gassoso tramite l’evaporatore e si scalda grazie al calore precedentemente accumulato. A questo punto aziona la turbina generando elettricità, per poi tornare nella cupola, pronta per il prossimo ciclo. Questo sistema è totalmente autonomo dalla rete elettrica e non emette CO2, anzi: questa soluzione oltre a produrre elettricità sarebbe un toccasana per ridurre la quantità di anidride carbonica presente in atmosfera!
Finito? Basta?!
Assolutamente no!
Il campo dello sviluppo tecnologico in fatto di batterie termiche o elettriche è sconfinato, talmente che si sono ideate anche soluzioni fantasiose, ma funzionanti!
La più “assurda” è quella dell’uso dello zucchero per le batterie! Per lo stoccaggio di grandi quantità di energia, servono batterie di notevoli dimensioni e spesso la scelta va sulle batterie di flusso, composte da due serbatoi esterni in cui è contenuto un liquido che circola costantemente tra di loro. Si ricaricano poi attraverso una reazione chimica che consente di immagazzinare energia rilasciata poi grazie al collegamento con un circuito esterno che alimenta vari dispositivi. Alcuni scienziati del Dipartimento dell’Energia del Pacific Northwest National Laboratory hanno visto che aggiungendo dello zucchero, derivato dall’amido di mais, può migliorare la potenza di picco di queste batterie fino al 60% e aumenta anche la loro durata.
Per non parlare delle batterie di sabbia! In un mondo sempre più propenso a sviluppare il solare o l’eolico bisogna pensare anche all’energia in eccesso o ai periodi di “magra”, in cui non si riesce a produrre abbastanza energia. E da qui si sono sviluppate le batterie di sabbia: questo materiale, infatti, è un materiale particolarmente efficace nel trattenere il calore e, in certe circostanze, può assorbire fino a 500°C e mantenerlo per svariati mesi.
L’idea, quindi, è di usare l’elettricità in eccesso prodotta dalla centrale e non immessa immediatamente nella rete per riscaldare il silos di sabbia, che poi manterrà il calore (e quindi l’energia) per quando servirà nuovamente, ad esempio per garantire l’acqua calda o il riscaldamento delle abitazioni nei mesi invernali.
Conclusione
Quindi di soluzioni per trovare alternative al litio ne abbiamo: anche perché lo strapotere che detengono alcuni paesi in fatto di materie prime è molto impari. Il maggior produttore di litio e Terre Rare – che servono per le altre componenti delle auto elettriche – è detenuto dalla Cina, in quanto detentore di circa il 40% delle 93 mila tonnellate di litio grezzo estratte a livello globale. Per non parlare della produzione che solo la Cina produce circa l’80% di tutte le batterie agli ioni di litio presenti in circolazione, non solo quelle per i veicoli EV, ma di tutto il comparto tecnologico attuale (smartphone, PC, ecc.).
In fin dei conti, anche tornando ai dati iniziali di litio presenti sul pianeta, solo per fare una batteria di un’auto elettrica di media potenza (circa 60 kWh) servono dai 18 ai 30 chili di litio. Moltiplicatelo per tutti i veicoli in circolazione ed il bilancio è presto fatto…
Siamo troppo dipendenti da questo elemento e gli squilibri geopolitici sono all’ordine del giorno, con il rischio che si vada ad alimentare paesi che già hanno un potere mondiale non indifferente.
Quindi pensiamo bene a dove vogliamo parare per il futuro, perché una transizione verde è possibile ma bisogna saperla gestire al meglio e soprattutto non creare disparità, sia sociali che economiche.
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