Come si ancora una pala eolica al fondo dell’oceano?

Chi va piano va sano e va lontano. Il futuro dell’eolico è certamente verso l’offshore, le installazioni di turbine in mare aperto (ne abbiamo parlato nel nostro articolo “Eolico offshore: alla conquista dei mari”), ma è meglio arrivarci per gradi. Il primo passo verso l’oceano si compie installando le turbine eoliche nelle acque basse, in zone vicine alla costa o in bacini non molto profondi. In questa situazione le pale vengono ancorate direttamente sul fondale marino. Come si fa? Non è così semplice come sembra.

Quanto è profondo il mare poco profondo?

In generale, se il mare è profondo meno di 60 metri è possibile fissare le turbine al fondale. Se invece la distanza aumenta questa tecnica non è più fattibile, dunque si passa a delle soluzioni galleggianti (che meritano una discussione a parte, essendo tanto complesse quanto affascinanti). Una profondità di 60 metri può sembrare irrisoria ma non è affatto così: osservando la batimetria, cioè la profondità dei fondali marini, dei vari specchi d’acqua europei scopriamo che quasi tutto il mare del Nord è profondo meno di 50 metri! Questo motivo, combinato con i forti venti della zona e la grande esperienza in materia della ricerca e delle aziende nordiche, spiega come mai l’eolico offshore sia nato e proliferato proprio nel Nord Europa.

Figura 1: mappa della batimetria dei fondali europei, con in evidenza la scarsa profondità del mare del Nord (fonte: articolo di Morten Thøtt Andersen).

Partiamo dalle fondamenta

Una volta identificate le zone più adatte ad ospitare le nostre turbine, bisogna trovare il modo di fissarle al fondo del mare. Esistono tre tipologie di fondazione tra cui scegliere: il palo singolo, la travatura e la fondazione a gravità.

Il palo singolo è forse il modo più semplice e intuitivo: si tratta infatti di estendere la torre della turbina eolica di qualche decina di metri. L’estensione è un grande palo dal diametro tra i 6 e gli 8 metri che viene conficcato nel fondale. Questa opzione funziona bene per i fondali sabbiosi, dove il palo scivola facilmente verso il basso, come un gigantesco ombrellone piantato nel bagnasciuga.

Se invece il fondale è di natura rocciosa, si deve optare per la travatura. Avete presente le strutture reticolari a triangolo dei tralicci dell’alta tensione? La struttura di questo tipo di fondazione è esattamente la stessa e per ancorarla al fondale viene trivellata direttamente sulla roccia.

La terza opzione, la fondazione a gravità, è la più estrema: un immenso blocco di cemento tozzo e svasato, talmente pesante da stabilizzare la turbina in qualunque condizione. Può arrivare la tempesta più intensa e state certi che questa fondazione non si sposterà di un millimetro, grazie al suo immenso peso che sposta il baricentro della turbina molto in basso.

Figura 2: le tre tipologie di fondazione per eolico offshore a bassa profondità, rispettivamente il palo singolo, la fondazione a gravità e la travatura (fonte: articolo di Francisco Manzano-Agugliaro).

Non tutte le ancore sono uguali

Ora abbiamo capito quali tipologie di fondazioni abbiamo a disposizione. Resta però il dubbio forse più preoccupante: come le ancoriamo al fondale? Lavorare in mare complica notevolmente le cose. La soluzione più semplice è quella forse più scontata: trivellarle sul fondale, allo stesso modo in cui fisseremmo una turbina eolica al terreno sulla terraferma. Vogliamo però raccontarvi un nuovo metodo innovativo, molto ingegnoso e che agevola parecchio l’operazione di fissaggio: l’ancoraggio ad aspirazione.

Si tratta di utilizzare alle estremità delle fondazioni degli scomparti pieni d’acqua. Una volta adagiati sul fondale, una pompa aspira via l’acqua. Eliminato il contenuto degli scomparti, al loro interno si crea il vuoto. La depressione del vuoto tende a schiacciare lo scomparto verso il fondale, facendolo sprofondare sempre più e fissando l’intera struttura. Questa tecnica è semplice da mettere in atto, perché le pompe sono su una barca al di fuori dell’acqua: non è necessario intervenire al di sotto del livello del mare, perché la depressione fa tutto il lavoro da sola.

Così come è semplice fissarlo, è anche altrettanto semplice rimuoverlo: basta pompare nuovamente acqua e la pressione farà sollevare gli scomparti. Questo trucchetto agevolerà molto le operazioni di decommissioning della turbina eolica, ossia lo smantellamento alla fine del suo ciclo di vita, lasciando il fondale marino praticamente inalterato rispetto a prima dell’installazione. Ovviamente si può utilizzare solo in presenza di fondali sabbiosi: anche la più forte depressione non è certamente in grado di spaccare la roccia.

Figura 3: rendering delle fondamenta di una turbina eolica offshore installata con il metodo delle ancore ad aspirazione (fonte: Framo).

Impatti ambientali sugli ecosistemi marini: pro e contro

Parliamo ora dell’aspetto più critico: l’impatto ambientale delle fondazioni per eolico offshore. Nonostante si sappia veramente poco su questo argomento, possiamo dirvi che abbiamo una buona e una cattiva notizia. Siamo ottimisti: partiamo dalla buona. Qualunque struttura artificiale in mare diventa in breve tempo la casa di un vastissimo numero di specie marine, come testimoniano i numerosi relitti popolati da grandi varietà di pesci e di coralli. È possibile dunque sfruttare le fondazioni delle turbine eoliche offshore, specialmente quelle a travatura, per aumentare la biodiversità marina, fornendo ai coralli dei punti privilegiati in cui crescere e moltiplicarsi, portando con essi la grande abbondanza di animali che popola le barriere coralline.

Ci ha provato ReCoral, un progetto nato in collaborazione tra l’azienda danese Ørsted e il parco eolico offshore di Greater Changua, a Taiwan. I ricercatori hanno raccolto le uova dei coralli spiaggiati a riva e le hanno riposizionate sulle fondazioni delle turbine eoliche, dando il via a floride colonie di coralli e pesci. Sono state create delle succursali artificiali delle barriere coralline naturali: un’ottima notizia per gli habitat marini a rischio.

Figura 3: ricostruzione artistica delle barriere coralline impiantate nelle fondazioni del parco eolico di Greater Changua a Taiwan (fonte: OffshoreWind.biz)

Veniamo ora alla cattiva notizia. I lavori di installazione delle fondazioni, sia con semplice trivellazione che con ancoraggio ad aspirazione, sono fonte di forti rumori e vibrazioni. I suoni in acqua si propagano molto più velocemente rispetto all’aria, impattando moltissime specie di animali. I più danneggiati sono coloro che utilizzano i suoni per orientarsi e cacciare tramite la tecnica dell’eco-localizzazione: i delfini e le balene.

Durante la posa delle fondazioni si possono raggiungere soglie di 225 decibel, pari al rumore di una sega circolare in azione! Non sappiamo ancora quali siano i danni causati e per quanto tempo si protraggano nel tempo, ma in ogni caso bisogna trovare un modo di ridurre l’intensità dei rumori in fase di cantiere. Ci sta provando la Continental Industry, che sta brevettando un anello di tubi perforati da posizionare attorno alle fondazioni. Durante i lavori, nei tubi viene iniettata aria ad alta pressione, che fuoriesce dai fori sottoforma di una miriade di bollicine. Si viene a creare quindi un muro d’aria, che scompone le onde sonore riducendo drasticamente il rumore al di fuori dell’anello. Che piacevole silenzio!

Figura 4: schema di funzionamento dell’anello di riduzione del rumore in fase di installazione delle fondazioni delle turbine eoliche offshore (fonte: Energy efficiency)

Immergiamoci nelle conclusioni

Una marea di possibilità attende le turbine eoliche che verranno installate nell’oceano. Per quanto la tecnica delle fondazioni fisse possa sembrare di poco conto, data la ridotta applicabilità ai soli mari poco profondi, è in realtà utilizzabile in moltissime regioni del mondo, come il mare del Nord. Molte tipologie di fondazioni si adattano a diversi tipi di fondali e nuove ricerche puntano ad integrarle sempre meglio con gli habitat marini circostanti. Perché per quanto l’uomo possa spingersi al largo, dobbiamo sempre ricordarci che il mare non è casa nostra. Dobbiamo rispettare le creature che lo abitano, perché non avrebbe alcun senso danneggiare gli ecosistemi marini in nome della sostenibilità energetica… sarebbe un paradosso insostenibile!

Abbiamo stimolato la tua curiosità? Puoi saperne di più consultando le nostre fonti:

Avatar Ilaria Giaccardo