“Galleggiano tutti quaggiù!” diceva il clown Pennywise nello spaventoso film It. Allontanandoci dal genere horror, questa frase potrebbe dirla anche un ingegnere energetico nel campo delle pale eoliche. Il futuro di questo settore consiste infatti nel floating offshore wind: i parchi eolici galleggianti in mare aperto. Ma come fa una turbina da 200 tonnellate a galleggiare come una barchetta di carta? E perché questa idea all’apparenza folle è in realtà rivoluzionaria? Scopriamolo insieme.
Teoria della galleggiabilità
Per posizionare una turbina eolica in mare, se l’acqua è più profonda di 60 metri non è possibile fissarla al fondale, perché l’infrastruttura sarebbe troppo debole e molto costosa. Se ti interessa sapere cosa succede a profondità inferiori a 60 metri leggi il nostro articolo “Come si ancora una pala eolica al fondo dell’oceano?”. Ora prendiamo il largo e avventuriamoci nell’oceano profondo. Per posizionare le turbine in queste acque si sfruttano gli stessi principi di galleggiabilità delle navi: mettendo una certa massa sott’acqua si riesce a stabilizzare una grande massa in superficie, facendola galleggiare grazie al principio di Archimede. Il gioco sta tutto nel progettare al meglio la parte immersa, chiamata galleggiante. Esistono moltissimi design differenti, ma tre tipologie sono quelle che vanno per la maggiore: lo spar-buoy, il semi-submersibile e la tension leg platform. Prendiamoci del tempo per capire come funzionano tutti e tre.

Spar-buoy: turbine e bamboline
Partiamo dallo spar-buoy. Questo galleggiante è composto da una piattaforma molto profonda, con al fondo una grande massa in grado di stabilizzare l’intera struttura. Funzionano allo stesso modo di quelle bamboline panciute che restano sempre in piedi, nonostante tutti i colpi che possiate darle. In entrambi i casi, il peso al fondo funge da zavorra, abbassando moltissimo il baricentro della struttura in modo da rendere molto difficile farle capottare.
Se per le bambole la sollecitazione consiste nelle spinte di un bambino un po’ manesco, per le turbine eoliche si tratta della forza delle onde e del vento. Per resistere alla furia degli elementi, la zavorra dello spar-buoy è composta da minerali di ferro ed è profonda più di 40 metri. Infine, per assicurarsi che la turbina rimanga sempre nello stesso punto viene collegata al fondale con degli ancoraggi, molto simili a quelli delle navi. Si tratta di catene sciolte, con al fondo un peso che mantiene la struttura ferma solo grazie all’attrito con il fondale, senza bisogno di fissarlo al suolo.
Questa tipologia di galleggiante è quella attualmente sfruttata in molti impianti nel mare del Nord, lungo la costa est di Inghilterra e Scozia. Hywind Scotland fu il primo parco eolico galleggiante al mondo: 5 turbine Siemens da 6 MW, per una potenza totale di 30 MW. Si trova vicino alla città di Aberdeen, in Scozia, accanto ad un altro impianto da record: Kincardine, dalla potenza di 50 MW. Questo impianto offshore è stato per molti anni il più potente al mondo, prima di essere sorpassato da un gigante inglese: Hornsea, composto da 165 turbine eoliche per una potenza totale di ben 1,32 GW, pari alla potenza richiesta da 1,4 milioni di case inglesi!
Nonostante questi risultati da record, la tecnologia spar-buoy non è esente da difetti. Il problema più grande consiste nella difficoltà di installazione. Essendo il galleggiante profondo più di 40 metri non può essere assemblato in cantiere navale: bisogna costruirlo direttamente in mare utilizzando immense imbarcazioni dedicate, con un aumento di complicazioni e di costi a dir poco esponenziale.

Semi-submersibile: allargarsi verso la terraferma
Passiamo ora ad un’altra tipologia di galleggiante: il semi-submersible. Questa tecnologia punta a ridurre i costi di installazione, evitando la necessità di assemblare la piattaforma direttamente in mare. Per ottenere questo risultato bisogna ridurre l’altezza del galleggiante. Ma se una dimensione si riduce, l’altra deve aumentare. Ecco quindi che il galleggiante diventa tozzo e largo, formato da tre piccoli piloni disposti a triangolo e collegati tra loro da una travatura reticolare. Avendo ridotto di molto la profondità, è ora possibile costruirlo a terra in un cantiere navale, per poi trascinarlo in posizione tramite navi più piccole. Anche in questo caso, come nello spar-buoy, il posizionamento in acqua è garantito da un sistema ad ancore sciolte.
L’allargamento della struttura porta inevitabilmente ad un aumento della superficie esposta alle forze delle onde e del vento. Per compensarle bisogna quindi incrementare la massa del galleggiante e studiarne ad hoc la forma, aumentando la complessità di fabbricazione. Nonostante le difficoltà, questa è la tecnologia utilizzata nei galleggianti di Windfloat Atlantic, un parco eolico offshore lungo le coste del Portogallo. Composto da 3 turbine da 8,4 MW, mette in campo una potenza complessiva di poco superiore ai 25 MW. È la strada che si sta provando a seguire anche in America: il dipartimento dell’energia degli Stati Uniti sta portando avanti un progetto da 30 MW nelle acque del Pacifico presso la cittadina di Coos Bay, in Oregon, che utilizza anch’esso la tecnologia semi-submersible per garantire la stabilità delle turbine.

Tension leg platform: questione di tensione
Esiste poi una terza tipologia di galleggiante, che si differenzia sostanzialmente dalle altre due: la tension leg platform. La piattaforma di questo galleggiante viene definita instabile… non sembra molto rassicurante! In realtà instabile significa che la piattaforma da sola non è in grado di restare a galla, perché troppo piccola e leggera. Ecco quindi che interviene in suo soccorso il sistema di ancoraggio, che non è più a catena sciolta ma in tensione. Mentre nelle altre tipologie di galleggiante l’ancoraggio serve solo per mantenere in posizione la turbina, nel tension leg platform le ancore sono trivellate al fondale marino e le catene tirano la piattaforma verso il basso, attivamente contrastando la forza di galleggiamento di Archimede che le farebbe ribaltare. In questo modo il galleggiante in sé non deve avere forme o caratteristiche particolari, abbattendo moltissimo i costi di produzione.
Tutto ciò che si è risparmiato lo si va però a spendere nel sistema di ancoraggio, il vero protagonista di questa tipologia di turbine. Essendo messo in tensione il materiale deve essere molto resistente e dovendo essere fissato al fondo del mare l’installazione diventa molto più complessa. Dovete sapere che la prima turbina eolica galleggiante al mondo aveva questa tipologia di galleggiante e si trovava in Puglia. Era di proprietà della Blue H Technologies, aveva una potenza di 80 kW ed era in un braccio di mare profondo 113 metri. Nell’anno della sua installazione, il lontano 2007, fu veramente rivoluzionaria! Essendo solo un prototipo fu dismesso già nel 2008. Ad oggi pochi impianti nel mondo hanno equipaggiato questo galleggiante, ma il nuovo progetto di Bandibuli/Firefly in Corea del Sud punta ad implementare il tension leg platform nelle proprie turbine.

Galleggiamo verso le conclusioni
Qualunque tecnologia si voglia utilizzare, l’eolico offshore galleggiante è il futuro di questo settore. L’unico modo per sfruttare a pieno l’immensa forza del vento è spingerci sempre più al largo, dove le sicure fondamenta non possono sostenerci. Sempre più impianti eolici offshore entreranno in funzione nei prossimi anni e saranno sempre più grandi, a formare una sorta di Atlantide contemporanea dell’energia rinnovabile.
Abbiamo stimolato la tua curiosità? Puoi saperne di più consultando le nostre fonti:



Lascia un commento